TITOLO: IL SALTIMBANCO DIMENSIONI: 70x90 cm
TECNICA E SUPPORTO: olio su cartone
ANNO: 2005
Il dipinto è parte del ciclo “Le Sante Sospese”
La scena notturna raffigura un “cerretano”, uno “zanni”, prototipo dei comici dell’arte che di li a pochi decenni sciameranno dall’Italia in tutta Europa, scacciati dalla bolla di scomunica del papa, consegnandoli a fama larga e imperitura.
La figura è elaborata da uno de passi più celebri della relativa iconografia: le famose quanto minuscole incisioni seicentesche di Jacques Callot “I Balli di Sfessania”.
Il comico in posa smargiassa da “Capitan Babeo” calca le tavole sconnesse di un palco improvvisato frettolosamente dai comici girovaghi, avvezzi all’accampo fortuito nel luogo dove l‘oscurità li coglieva e di conseguenza a rappresentare per ogni uditorio, spesso formato da popolani e contadini; una stazione di posta, un’aia di fattoria, una radura boschiva, una piazza fangosa nei sobborghi di una cittadina o uno spiazzo fuori le mura . . . . . . . . . . . Due pali contorti, una vecchia tendaccia rossa mangiata da topi e tignole, un fondale improbabile stinto dal tempo, qualche fuoco acceso per il freddo e la luce et voilà! L’accampamento scenico è pronto. Magari per un’ultima recita serale, prima di gettarsi nel carro o sotto le tavole del palco a dormire spesso a pancia vuota o, nei casi più fortunati dopo aver racimolato un po’ di cibo, qualche offerta in natura e magari qualche spicciolo dai paesani che hanno assistito ai lazzi della recita improvvisata, grevi, scollacciati ma finalmente genuini.
Straci e fame, bagliori caldi di fuoco, lame di fredda luce lunare e nuvole sono la scenografia che accompagna questa visione.
S.B.
La scena notturna raffigura un “cerretano”, uno “zanni”, prototipo dei comici dell’arte che di li a pochi decenni sciameranno dall’Italia in tutta Europa, scacciati dalla bolla di scomunica del papa, consegnandoli a fama larga e imperitura.
La figura è elaborata da uno de passi più celebri della relativa iconografia: le famose quanto minuscole incisioni seicentesche di Jacques Callot “I Balli di Sfessania”.
Il comico in posa smargiassa da “Capitan Babeo” calca le tavole sconnesse di un palco improvvisato frettolosamente dai comici girovaghi, avvezzi all’accampo fortuito nel luogo dove l‘oscurità li coglieva e di conseguenza a rappresentare per ogni uditorio, spesso formato da popolani e contadini; una stazione di posta, un’aia di fattoria, una radura boschiva, una piazza fangosa nei sobborghi di una cittadina o uno spiazzo fuori le mura . . . . . . . . . . . Due pali contorti, una vecchia tendaccia rossa mangiata da topi e tignole, un fondale improbabile stinto dal tempo, qualche fuoco acceso per il freddo e la luce et voilà! L’accampamento scenico è pronto. Magari per un’ultima recita serale, prima di gettarsi nel carro o sotto le tavole del palco a dormire spesso a pancia vuota o, nei casi più fortunati dopo aver racimolato un po’ di cibo, qualche offerta in natura e magari qualche spicciolo dai paesani che hanno assistito ai lazzi della recita improvvisata, grevi, scollacciati ma finalmente genuini.
Straci e fame, bagliori caldi di fuoco, lame di fredda luce lunare e nuvole sono la scenografia che accompagna questa visione.
S.B.
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